Student Talks è la rubrica mensile curata dagli studenti. Elisea Paolino ha riflettuto sul ruolo del designer come agente del cambiamento, passando in rassegna due esempi virtuosi di design per il sociale.
In un mondo in continua evoluzione, in cui il processo sociale innovativo è fluido e in perenne divenire, non è facile etichettare con un’unica definizione un intero ambito disciplinare.
La parola design, presa in prestito dall’inglese, viene usata come sinonimo di progettazione. Progettare è partire da una fase di ricerca iniziale fino al raggiungimento di un risultato, attraverso l’adozione di un approccio fatto di strumenti, modelli molteplici e processi, applicabili anche alle politiche sociali, per generare interazioni ed esperienze atte a modificare i comportamenti umani e il modo di vedere la società. Questo approccio human-centered si discosta dall’idea di designer come guru, ma lo considera una figura professionale che mira a riscoprire i differenti bisogni delle persone e della società, per cui gli utenti non sono più solo consumatori ma co-progettisti. Il design per il sociale crea pertanto un impatto visivo sostenibile, intervenendo nello sviluppo di un nuovo modello di società ed acquisendo in tal modo un ruolo inaspettato e camaleontico, che prende direzioni apparentemente contraddittorie ma legate da un sottilissimo fil rouge progettuale.
“È un periodo fantastico per essere uno studente di design” scrive Alice Rawsthorn, scrittrice e critica di design inglese. Quando le si chiede di parlare di design, lei riesce a trovare un legame con qualsiasi cosa, considerandolo alla fine l’unico vero agente di cambiamento sociale. E non è proprio questa centralità del design e del suo legame indissolubile con la società a permetterci di interfacciarci con le sfide emergenti di un mondo in continua evoluzione? Non importa se tali sfide siano di carattere politico, sociale, scientifico, culturale, tecnologico, economico o ecologico: il design rimane comunque lo strumento principale del cambiamento.
Porre la persona al centro del processo creativo cambia tutte le regole e il risultato finale è sorprendente. Il contatto tra più comunità genera contaminazioni virtuose, come dimostrato dall’Art Director e attivista Francesco Urettini con il progetto Talking Hands, nato nel 2016 a Treviso per promuovere l’integrazione sociale attraverso la moda. Talking Hands usa tessuti di recupero per la produzione di abiti di qualità, avvalendosi di seminari condotti da designer locali che insegnano nuove competenze a rifugiati e richiedenti asilo, offrendo loro opportunità lavorative e punti di contatto con la comunità. Dall’incontro di due mondi, due culture, due realtà, nasce la capsule collection Mixité, restituendo dignità a coloro che l’avevano persa e permettendo ai neo-fashion designer di giocare con la propria creatività e di ricominciare una vita al riparo dai drammi del passato.
Un passato che il più delle volte non perdona, come ci mostra anche l’architetto e giornalista Patrizia Scarzella nel suo libro fotografico Women’s Hands, che testimonia il duro lavoro di Networking Our Way Out of Poverty, iniziativa promossa dalla International Good Shepherd Foundation Onlus. Un progetto di Design Training e Product Development rivolto a donne artigiane – prive di un background formativo e spesso vittime di human trafficking – che vivono in condizioni di estrema povertà in paesi come Kenya, Thailandia e Filippine, che incoraggia le partecipanti ad esplorare il proprio potenziale creativo interagendo con materiali, colori e finiture per confezionare prodotti tessili. Tra i risultati concreti, i workshop hanno prodotto collezioni di accessori casa e moda a marchio Dignity Design, presente sui mercati nazionali ed internazionali per uno sviluppo globale equo e sostenibile. La collezione è stata presentata al Gift Show di New York e al Salone del Mobile di Milano nel 2012, per poi estendersi in tutta Europa, Australia e Thailandia. Il ricavato è stato impiegato per retribuire le artigiane partecipanti. In Women’s Hands la Scarzella ritrae mani di donne intente nel loro lavoro, simbolo di dignità e di volontà per una vita migliore, mostrando un intimo viaggio alla riscoperta di se stesse oltre che della propria professione.
Queste due esperienze mostrano come la progettazione possa essere una valida risposta anche a situazioni di crisi ed emergenza, e come il design possa creare spazi di opportunità e donare dignità sociale a chi non crede più in essa.
Elisea Paolino
Studente del Corso Triennale in Design e Comunicazione Visiva
@elsi__
STUDENT TALKS ISSUE #02 – APRILE 2020
Categories : Issue
STUDENT TALKS
ISSUE #02
APRILE 2020
TEMA
#DesignStories
ARTICOLO DI
Elisea Paolino
Corso Triennale in Design e Comunicazione Visiva